Le piccole attività indipendenti devono gestire in modo preciso e corretto versamenti e prelevamenti bancari per evitare di incorrere in contestazioni di tipo fiscale.
È fondamentale non mescolare ciò che riguarda l’attività di impresa con ciò che invece è privato.
Quindi, la prima cosa da fare, è aprire un conto corrente esclusivamente dedicato all’attività, ben distinto dal conto corrente personale.
Ma è obbligatorio avere due conti correnti? No.
È obbligatorio solo in questi casi:
È però ampiamente consigliato ad eccezione dei piccolissimi professionisti in regime forfetario o semplificato. Per piccolissimi in questo caso intendo quando ci sono pochi movimenti.
In ogni caso è necessario avere un conto corrente – non necessariamente business – intestato al titolare della partita IVA sul quale fare transitare i pagamenti degli F24 (imposte e contributi).
Il conto corrente separato (quindi un conto privato e un conto dedicato alla attività professionale o di impresa) ha parecchi vantaggi tra i quali avere sotto controllo il cash flow prodotto dall’attività; maggiore consapevolezza delle entrate e uscite data dalla separazione netta con le spese personali; in caso di controlli dell’Agenzia delle Entrate minori difficoltà nel giustificare i vari movimenti.
Quindi direi che tranne in rari e piccoli casi, il costo di un conto corrente aggiuntivo è più che ripagato dai vantaggi.
Sul conto corrente dell’attività di impresa/professionale devono transitare tutti gli incassi, effettuati i pagamenti e da quel conto devono essere prelevati gli eventuali utili.
A prescindere dalla contabilità adottata, forfetaria, semplificata oppure ordinaria, la cifra massima che può essere versata sul conto corrente dell’attività è pari alla somma degli incassi del giorno. Se non si versa tutti i giorni è pari all’incasso dall’ultimo versamento eseguito fino al giorno in cui si torna in banca.
Per incassi del giorno intendo al netto di quelli a mezzo carte di credito o similari che pervengono direttamente sul conto corrente.
È ammissibile versare meno dell’incasso per mantenere un po’ di liquidità o per fare piccoli pagamenti in contanti, ma intendo cifre minime.
Quale è il limite attuale all’uso dei contanti?
AGGIORNAMENTO: La soglia, scesa a 1.000 euro dal 1° gennaio 2022, torna a 2.000 euro per effetto di un emendamento approvato al decreto Milleproroghe. Il limite scenderà a 1.000 euro solo dal 1° gennaio 2023.
Ci tengo a precisare che questo limite non vale per i versamenti da parte dei titolari di negozi o pubblici esercizi che portano in banca gli incassi.
Infatti ciò non implica il trasferimento di denaro in contanti verso un altro soggetto.
Quindi il versamento ha come unico limite il totale incassato in contanti.
È preferibile che tutti i pagamenti transitino dal conto corrente dell’attività.
Quindi le fatture dei fornitori, le utenze, le imposte.
Ogni pagamento, ad eccezione di quelli minimi per contanti, dovrebbe transitare dal conto corrente al fine di rendere tutto più ricostruibile e chiaro.
Inoltre la Legge di stabilità 2018, ha stabilito che dal 1° luglio 2018 le retribuzioni o i compensi dei lavoratori, sia dipendenti che parasubordinati, come i collaboratori, debbano essere corrisposti esclusivamente con mezzi tracciabili. Niente denaro contante, quindi.
Questo è il punto più importante e si riferisce alle attività esercitate in forma di ditta individuale (o impresa familiare) o di società di persone (SNC e SAS).
È logico che il titolare o i soci prelevino il loro “stipendio” dall’azienda.
Il limite massimo dei prelievi dovrebbe essere rappresentato dagli utili realizzati e non reinvestiti nell’attività.
È possibile prelevare con periodicità variabile e anche le somme possono essere flessibili in base alla liquidità disponibile.
La tassazione non varia al variare dei prelievi in quanto gli utili, sia nella ditta individuale che nelle società di persone, vengono tassati per competenza. Vengono cioè tassati a prescindere dall’effettiva distribuzione.
È fondamentale che i prelievi avvengano DOPO avere versato l’incasso sul conto corrente dell’attività e non prima direttamente dal contante della cassa.
Quindi PRIMA si versa tutto l’incasso e poi il titolare o i soci possono fare il bonifico sul loro conto corrente personale o il prelievo per contanti.
Sul conto corrente personale del titolare o dei soci possono entrare solamente i bonifici che provengono dal conto corrente dell’attività ed eventuali altri introiti derivanti per esempio da redditi di lavoro dipendente, o pensione o interessi su titoli.
Ogni entrata deve avere la sua giustificazione.
Le uscite saranno rappresentate dai pagamenti delle utenze, di eventuali affitti privati, addebiti della carta di credito e prelievi in contanti.
È importante che si riesca a dimostrare, attraverso le uscite e i prelievi dal conto corrente personale, come ci si mantiene.
Sul conto corrente dell’attività di impresa:
Sul conto corrente privato:
E infine la risposta a una domanda che mi viene fatta spesso:
È possibile finanziare la ditta/società con apporti di denaro da parte del titolare/soci?
Anche in questo caso è necessario fare dei distinguo.
Le società di capitali devono seguire regole più rigide e soprattutto i versamenti soci sono deliberati dalla assemblea.
Parlando invece di ditte individuali e società di persone direi che è possibile da parte del titolare e dei soci apportare denaro personale versandolo o bonificandolo sul conto corrente della ditta o società, facendo le dovute precisazioni. Il denaro deve uscire da canali bancari e soprattutto la sua provenienza deve essere giustificabile. Inoltre resta sempre la problematica del dovere dimostrare “come ci si mantiene”, a maggiore ragione se oltre a non effettuare prelevamenti dalla ditta/società si effettuano anche dei versamenti. Quindi per questi casi consiglio sempre una valutazione accurata e caso per caso preferibilmente con la assistenza del commercialista al fine di evitare successivi problemi in caso di controlli.
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